il sisma che distrusse Melfi e risparmiò Lecce e Turi

il sisma che distrusse Melfi e risparmiò Lecce e Turi

articolo ripreso da portalecce
e scritto da Andrea Pino

Il 14 agosto 1851 una parte del sud Italia tremò a seguito di un terremoto di devastante potenza. La città che ebbe la peggio, con danni alle strutture e migliaia di vittime, fu l’antica Melfi, assieme ad altre cittadine del Vulture.

 

 

In Puglia anche Canosa riportò seri danni. Il fortissimo sisma, scatenatosi in Lucania, venne sentito sino in Calabria, e soprattutto fece preoccupare i cittadini pugliesi, scuotendo i territori del Gargano, Canosa, Barletta, la provincia di Bari (sesto grado), sino al capo di Lecce. Nel Salento la scossa risultò molto lieve.

Il fenomeno sismico ebbe inizio il 29 giugno 1851 con una forte scossa nella città di Melfi. Il 27 luglio si verificarono fortissimi e inaspettati temporali, accompagnati da venti impetuosi, ed una grandinata che distrusse le campagne della Basilicata.

Leggendo le cronache dell’epoca, si apprende che, un quarto d’ora prima del tremendo sisma, gli animali iniziarono a comportarsi in modo strano: gli equini nitrivano e appuntavano gli zoccoli sul terreno; i polli e le galline emettevano versi strani; i piccioni si allontanavano dai loro nidi; i gatti scappavano sui tetti; i maiali erano irrequieti e i cani abbaiavano e avevano i peli arruffati, quasi per avvertire il padrone dell’imminente pericolo.

Il terremoto fu sussultorio-ondulatorio con onde che si propagarono da occidente ad oriente. Alla prima scossa ne seguirono altre tre e, sino al mese di dicembre 1851, si registrarono numerose scosse di assestamento.

È molto plausibile che anche nella cittadina di Turi vennero sentite forti scosse telluriche e, per lo scampato pericolo, nei giorni successivi, i turesi, spaventati e preoccupati, con le preghiere e tanta devozione, chiesero l’intercessione a Sant’Oronzo Vescovo, patrono della città e protettore da epidemie, fulmini e terremoti.

Consultando il registro del 1851 del Consiglio dei decurioni di Turi, la giunta comunale dell’epoca, guidata dal sindaco Domenico Aceto, non cita nessuna spesa sostenuta dal comune per la realizzazione del Carro di Sant’Oronzo. Mentre, nel mese di agosto 1851, è riportata la delibera per le spese religiose (30 ducati) e quella per le spese relative agli arredi sacri e ai lavori di restauro del Cappellone di Sant’Oronzo.

Alla luce di tale riscontro è plausibile che nel 1851, per lo scampato pericolo, accrebbe la devozione al santo, e molto probabilmente, in quello stesso anno i fedeli turesi, con devozione e giubilo, portarono la statua o l’immagine del santo in solenne processione dalla Grotta di Sant’Oronzo al paese. Verosimilmente negli anni successivi, si ebbe il tempo necessario per raccogliere i fondi necessari per la progettazione e costruzione del primo Carro trionfale, tirato da sei mule, sulla cui data di esecuzione, al momento, non esistono né documenti delle autorità ecclesiastiche né documenti del comune di Turi.

“Mio padre, Vito Rocco – racconta il figlio, uno dei fratelli Albano -, era un falegname ebanista, il quale aveva ereditato il mestiere da mio zio Giuseppe. Con i miei compianti fratelli, Matteo Maria (classe 1926) e Matteo (classe 1928), ebanisti, avevamo la bottega di falegnameria di famiglia, attiva fin dal 1886, prima in Via Orlandi e poi in Via Poli”.

“Nel maggio 1971 – prosegue nel racconto -, accertate le pessime condizioni del vecchio Carro, fummo contattati dal sindaco di Turi per realizzare in toto la parte lignea”.

“Con i miei fratelli, nella bottega di Via Poli, ultimammo il nuovo Carro in due mesi e mezzo di lavoro: a luglio 1971, la struttura lignea era pronta per essere dipinta e decorata. Il nuovo carro ha una altezza di 14,50 metri; la parte superiore ha uno spessore ligneo di 6 centimetri, mentre la parte sottostante (la naca) ha uno spessore di 3 centimetri. Il legno che venne usato è l’abete di Cadore di primissima scelta. Le colonne e la grande sfera posta in cima al campanile, invece, sono di legno di Douglass”.

“La sera del 27 agosto 1971 – conclude -, alla presenza del vescovo e del sindaco Matteo Pugliese, nel corso di una solenne cerimonia venne inaugurato il nuovo Carro e per l’occasione ci venne consegnata una pergamena ricordo. Conservo gelosamente alcune foto del vecchio Carro. In particolare, ricordo l’angelo “porta croce”, posizionato sulla cupola, che era alto più di un metro. Per il nuovo carro furono recuperate solo le sculture degli otto putti, mentre tutte le altre parti vennero inspiegabilmente bruciate”.

Cresciuta la devozione a Sant’Oronzo, protettore della città, a partire dalla metà dell’Ottocento il culto al santo si arricchisce con la processione del Carro trionfale tirato da sei mule. Una struttura architettonica mobile, costruita in legno scolpito e dipinto a forma di campanile, opera delle maestranze del paese. Per quanto riguarda la particolare tipologia del tiro usato, con molta probabilità, i “trainieri” e gli amministratori dell’epoca presero spunto dalla tecnica di tiro adottata nel 1831 dai militari del Reggimento di artiglieria terrestre “a cavallo” chiamato anche con l’appellativo di “Voloire”.

 

 

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